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Chernobyl Robots: progettati per le stelle ma finiti all’inferno

La storia dei liquidatori di Chernobyl che erano ai comandi dei "Chernobyl robots".
Nella foto sopra: la brigata”Robotics” assieme al “CTP-1”.
Seduti in prima fila (da sinistra a destra) – UB5WPR e UY5XE, in piedi (all’estrema sinistra) UB5YDJ 

La vera storia dei “Chernobyl robots” raccontata da chi era ai loro comandi

Che cosa fate voi per gli altri? Ignorare i problemi equivale ad esserne complici. L’amore per gli altri, l’altruismo ed il coraggio è una cosa splendida che brilla anche nei momenti più bui. Ho scritto molto su questo argomento e lo farò ancora per tanto. 

Era settembre e George Chliyants da Lviv aveva 38 anni quando partì volontario alla volta di Chernobyl come liquidatore. 
Suo padre quel giorno gli fece solo una domanda: 
– “Perché fai questo? Perché vuoi rischiare la tua vita in quel macello?” 
– “Padre, quando sei partito volontario un anno intero per il fronte, il tuo cuore non ha avuto esitazioni.”

La domanda circa lo scopo della vita umana è stata proposta innumerevoli volte in svariati contesti. Non ha ancora trovato una risposta giusta e soddisfacente e forse non la consente nemmeno. 

In quel preciso momento c’era bisogno di salvare il paese, in tanti lo avevano capito ed è stato importante. Ecco perché sono partiti senza pensarci troppo. Sembrava che il patriottismo stesse morendo e che le persone non avessero più amore per la propria patria, ma la dignità di molti giovani dimostrò il contrario: c’erano ancora delle persone pronte a salvare la loro terra. 

Il ChNPP è costituito da unità di potenza ABK-1 e ABK-2 (il tubo di ventilazione si trova tra di loro). L’unità ABK-1 include il 1° e il 2° reattore e l’unità ABK-2 include il 3° e il 4° reattore. L’esplosione è avvenuta nella notte del 26 aprile (alle 01.23 ora di Mosca) al 4° reattore e circa un centinaio di tonnellate di “spazzatura” radioattiva (tutti i tipi di lamiere e strutture, frammenti di soffitti in calcestruzzo, macerie, ecc. – della sala macchine distrutta e di altre stanze di questo reattore e dal reattore stesso – parte del combustibile per le radiazioni: le cosiddette barre di combustibile e blocchi di grafite) furono riversate sul tetto del 3° reattore. In alcuni punti, la dose di radiazioni era di diverse migliaia di raggi X.

In luglio-agosto, fu fatto un tentativo di rimuovere questa “spazzatura” radioattiva con l’aiuto di robot radiocomandati tedeschi della serie “MF”, che non hanno dato risultati positivi. Ad esempio, il robot tedesco “MF-3” divenne “cieco” e si paralizzò sul tetto (le sue telecamere a colori e il sistema di controllo radio erano fuori servizio) e fu possibile rimuoverlo, con l’aiuto di un elicottero, solo a dicembre. 

Entrarono così in gioco i “bio-robots”, riservisti arrivati da tutta Ucraina e dai paesi limitrofi.
La loro storia è ben conosciuta ma quella che viene dopo non del tutto. 

Nella prima foto: UY5XE con il robot serie CTP-1 che fu impiegato nella pulizia del tetto del reattore n°3.
Nella seconda foto:  UY5XE e il robot tedesco “MF-series” che fu originariamente creato per scopi anti terroristici.

Nell’immaginario collettivo il fallimento dei Chernobyl robots è noto a tutti, ma la vera storia è un’altra. 
Ci fu chi volle successivamente ritentare, perché l’inferno non era finito e continuare a lavorare solo manualmente sul tetto del reattore avrebbe comportato una perdita di vite non indifferente. 
Fu allora che venne deciso di tentare nuovamente la strada dei robots. 

Nei mesi di luglio-agosto del 1986 due modelli di rover lunari (modello “Lunokhod”) furono trasferiti da Leningrado ad uno stabilimento di lavoro nei pressi del paese di Chernobyl: in fretta dovevano essere modificati e adattati a lavorare in un luogo, sotto certi aspetti, più estremo di quello che si poteva trovare sul suolo lunare. 

Il compito di fare queste modifiche su questo tipo di robot, fu affidato a quel ragazzo di 38 anni che partì volontario per la battaglia contro Chernobyl: era un radioamatore, conosciuto con il call UY5XE, ed aveva una grande preparazione nelle trasmissioni radio. Così lui si ricordò dei suoi amici radioamatori conosciuti nell’etere: nessuno meglio di loro avrebbe saputo gestire meglio questa “missione”. Chiunque incontri nella tua vita, qualunque conoscenza che fai sulla tua strada, non è mai frutto della casualità, e non lo sono neanche le tue passioni e quello che ami fare. Fu così che il gruppo “Robotics” fu creato e arrivò a portare il suo aiuto nella liquidazione dell’incidente di Chernobyl.
Tra i radioamatori presenti nel gruppo voglio citare anche: 
– da Lviv: Leonid Kharchenko (RB5WL, adesso UT1WL), Viktor Golutin (UB5WPR – divenuto UT1WPR – morto nel 2014)
– da Chernivtsi: Ivan Milovanov (UB5YDJ, adesso – UY0YI).
– da Simferopol: Boris Norshtein (UB5SN, adesso – UU2JN, morto nel 2014) e Yuri Moiseyev (UB4JG, adesso – UU4JG, morto nel 2016).

Lavorando di giorno e studiando di notte, sui modelli di Lunokhod furono effettuate una serie enormi di modifiche da questo gruppo di ragazzi. 
I singoli motori elettrici su ogni singola ruota permettevano ai robot di poter fare qualsiasi tipo di manovra possibile ed era relativamente facile da gestire: con il suo peso scarso, riuscivano a spingere un alto numero di carico all’interno del reattore distrutto. I lavori di smaltimento del materiale rilasciato ed espulso dall’incidente furono effettuati su una parte del tetto dell’unità 3 e tutto il materiale fu scaricato nei resti del rettore dell’unità 4.
E c’era bisogno di occhi per vedere: tre telecamere, due servivano per monitorare i movimenti del rover, la terza inquadrava la benna di lavoro. Guardare con quegli occhi è costato aprire la vista su tutto ciò che non avrebbero mai voluto vedere.

Lo step successivo fu quello di realizzare un telaio per rendere il rover trasportabile con mezzi aerei, elicotteri in questo caso. Batterie, trasmettitori radio per i comandi remoti e per la trasmissione delle immagini. Il peso del mezzo su cui lavorava George era molto contenuto circa 10 quintali, mentre i modelli precedenti arrivavano addirittura a 4 tonnellate di peso creando problemi di stabilità o addirittura crolli sulle parti del tetto dell’Unità 3 ormai in condizioni pessime. 
La stanza dove George e il suo team di lavoro comandavano il robot attraverso dei joystick collegati al mezzo con link radio, era situata in una stanza del sottotetto del reattore 3.Le apparecchiature si trovarono a lavorare in condizioni di elevatissima presenza di radiazioni: questo creava diversi problemi alle ottiche delle telecamere opacizzando i vetri delle lenti, di conseguenza doveva essere fatta manutenzione sia per sostituire le ottiche sia per il cambio delle batterie. 

I rover ogni giorno venivano quindi agganciati con un elicottero e trasportati nell’area di lavoro presso la città di Chernobyl con un volo di circa 20 Km, ma prima che i tecnici potessero avvicinarsi, il macchinario doveva essere decontaminato con speciali procedure. Per effettuare questa operazione veniva utilizzata acqua ad alta pressione (40 bar) e attraverso una pistola procedevano alla pulizia, ma a causa della forte pressione la lancia era ingestibile tanto che in alcuni casi gli operatori del gruppo subirono l’amputazione delle mani. Per risolvere il problema applicarono una seconda maniglia in modo da poter tenere l’apparecchio con maggiore stabilità. 

Il lavoro dei robot sul tetto veniva portato avanti di giorno da due squadre che si alternavano ai comandi, dalle 8 del mattino fino alle 22 di sera. Gli indumenti che venivano consegnati agli operatori erano una semplice tuta in materiale plastico impermeabile e una semplice mascherina antipolvere. Quando i tecnici facevano rientro dal posto di lavoro situato nel sottotetto venivano sottoposti anche loro alla decontaminazione, i vestiti venivano tolti e gettati via. Una doccia e poi lo scan corporeo per il controllo radioattività. Molte volte risultavano contaminati e quindi la procedura di pulizia ricominciava da capo, anche per più volte consecutive. 

La “seconda generazione” dei robot di Chernobyl ha lavorato sul tetto del reattore da settembre a dicembre concludendo il loro lavoro in modo egregio e senza nessun tipo di problema funzionale. In questo lasso di tempo solo e soltanto i rover lavorarono sul tetto: i “bio-robots” venivano chiamati in aiuto solo per il cambio delle telecamere installate ai bordi del tetto (circa ogni 7-10 giorni) e nella ripulitura dei piccoli angoli dove i rover non riuscivano ad entrare. 

Sovente i radioamatori sono intervenuti per soccorrere persone in difficoltà. Questa è la storia di un gruppo di loro che ha contribuito alla liquidazione dell’incidente di Chernobyl. Ognuno ha dato il suo aiuto come ha potuto, in modo totalmente volontario, ma nessuno parla di loro: nella grande battaglia di Chernobyl ci sono stati tanti eroi senza nome e molti di loro neanche sappiamo che sono esistiti e che mansione hanno avuto nella timeline degli eventi. 
Alla fine, anche se non ce ne accorgiamo, tutti aiutiamo gli altri con la stessa passione e intensità ma ognuno lo fa nel suo modo speciale. Ognuno di noi ha un disegno già scritto e quando ti incammini sulla strada giusta inizi a “vedere” le sincronicità nella tua vita: le tue esperienze di vita e le tue grandi passioni inizieranno ad avere un senso e potrai finalmente iniziare a usarle per aiutare gli altri. 

George è un mio caro amico e lo considero un pò come una persona di famiglia, perché anche lui come tanti altri, quando io avevo solo 7 anni, ha contribuito a rendermi un futuro vivibile. Trovarsi davanti a una persona così sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito attorno e su di voi per decenni, la logica di tutte le vostre convinzioni sul rapporto verso il prossimo e verso le persone che neanche conosci e che probabilmente non conoscerai mai. Se aiuti gli altri, verrai aiutato. Forse domani, forse tra un centinaio d’anni, ma verrai aiutato. La natura deve sempre pagare il debito. È una legge matematica e tutta la vita è matematica. Anche se non lo sai, stai sempre preparando un incontro con qualcuno la fuori che ti sta cercando in tutti i modi possibili immaginabili. Sotto la superficie delle cose che riusciamo a vedere e comprendere consciamente, sta succedendo qualcos’altro: seppur invisibile ai nostri occhi, c’è una complessa rete di connessioni per ognuno di noi che attraversa il tempo, i confini e gli anni. Nella storia, le distruzioni hanno sempre un autore noto. Le ricostruzioni ideate sopra la speranza quasi sempre sono anonime.

Nella prima foto: il tesserino di accesso alla zona di Chernobyl di George. Nella seconda foto: George e Francesca Dani.

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